LA COMPETENZA SULL’AFFIDAMENTO E IL MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI DOPO L’ORDINANZA DELLA CASSAZIONE N.8362 DEL 3.4.2007
LA COMPETENZA SULL’AFFIDAMENTO E IL MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI
dopo l’ordinanza della Cassazione n. 8362 del 3.4.2007
(relazione al seminario AIAF del 16 maggio 2007 – Milano)
L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 8362 del 22.3.2007, depositata il 3.4.2007, che ha risolto il conflitto negativo di competenza tra il Tribunale Ordinario e il Tribunale per i Minorenni di Milano in relazione ai procedimenti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli di genitori non coniugati, conflitto determinatosi a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 54/06, pone alcuni seri interrogativi, soprattutto di natura processuale, in relazione alla interpretazione e applicazione della normativa da parte dei Tribunali per i Minorenni che, secondo l’indicazione della Corte, dovranno decidere anche le domande di natura economica – già di competenza del Tribunale Ordinario ai sensi dell’art. 148 c.c. – se proposte contestualmente alla domanda di affidamento dei figli.
Tuttavia questa importante decisione della Suprema Corte, se letta anche alla luce dei principi generali dell’ordinamento e della legislazione sovra-nazionale nonché di altre sentenze della stessa Cassazione e della Corte Costituzionale, rende a mio parere possibile l’adozione, da parte dei Tribunali per i minorenni, di soluzioni efficaci dal punto di vista processuale, in attesa di interventi legislativi che chiariscano i numerosi dubbi che stanno emergendo nella applicazione della legge da parte della giurisprudenza di merito.
Va anzitutto apprezzato il fatto che sia stato dalla Corte affermato, che con l’entrata in vigore della legge n. 54 non è vero che tutto resta come prima in relazione alla ripartizione delle competenze, come viceversa sostenuto oltre che dal Tribunale di Milano, da gran parte della giurisprudenza sia dei Tribunali per i minorenni che dei Tribunali Ordinari. Cosa che non era affatto scontata. La legge n. 54 ha comportato una innovazione rispetto alla precedente regola del riparto che attribuiva la cognizione delle controversie concernenti il contributo al mantenimento del figlio naturale al Tribunale Ordinario anche in caso di contestualità della domanda di natura patrimoniale con quella relativa all’affidamento, cosa oggi non più consentita. Questa corretta interpretazione della legge, affermata oggi in modo chiaro e autorevole dalla Suprema Corte, pone una importante base dalla quale credo non si debba tornare indietro . Afferma la Corte: “…una volta che gli artt. 155 e seg. c.c. concorrono a plasmare… l’art. 317 bis c.c., quest’ultima disposizione si arricchisce di nuovi contenuti: non solo quindi… dei nuovi principi sulla bigenitorialità, sull’esercizio della potestà genitoriale e sull’affidamento, ma anche della regola di inscindibilità della valutazione relativa all’affidamento da quella concernente i profili patrimoniali dell’affidamento. Il giudice specializzato… è chiamato, nell’interesse del figlio, ad esprimere una cognizione globale, estesa alla misura e al modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione, e , quindi investente i profili patrimoniali dell’affidamento”.
L’unità delle competenze, su affidamento e mantenimento, è soluzione che appare maggiormente orientata, afferma la Corte, alla realizzazione di principi espressi dalla Costituzione: “…il principio di eguaglianza… esige che i minori non ricevano dall’ordinamento un trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure da genitori non coniugati. …Ritiene il Collegio che vi sarebbe un trattamento deteriore per il figlio naturale ove le sue esigenze di tutela, in caso di crisi del rapporto di convivenza tra i suoi genitori naturali ricevesse dall’ordinamento una risposta frazionata, con la perdita di quella valutazione globale… che soltanto una cognizione estesa anche alle conseguenze patrimoniali dell’affidamento può assicurare.” Inoltre, prosegue la Corte, lo sdoppiamento di competenze comporterebbe un evidente sacrificio del principio di concentrazione delle tutele che è aspetto centrale della ragionevole durata del processo.
Acquista dunque particolare importanza, per le conseguenti opzioni interpretative in campo processuale, questo richiamo forte della Suprema Corte alla necessità di garantire parità di trattamento ai figli, siano essi nati da genitori coniugati o meno, nel rispetto del principio di eguaglianza, figli minori che oggi sono titolari di diritti propri e autonomi, sanciti finalmente dalla legge n. 54 nel rispetto delle indicazioni già fornite dalla normativa internazionale .
Ma la Corte di Cassazione fornisce anche altre indicazioni che possono orientarci per una corretta e efficace interpretazione delle norme.
Le indicazioni di natura processuale possono così essere riassunte:
- Nel caso di contestualità delle domande di affidamento del figlio e di natura economica (contributo al mantenimento e assegnazione della casa familiare) – e solo in tal caso – il Tribunale per i Minorenni dovrà provvedere in relazione a tutte le domande, e quindi anche in relazione a tutte le questioni economiche, per “attrazione” delle domande in capo allo stesso giudice specializzato e ciò in quanto, in caso contrario, vi sarebbe un trattamento deteriore per il figlio naturale ove le sue esigenze di tutela ricevessero dall’ordinamento una risposta frazionata. Inoltre il principio del giusto processo, recepito con la modifica dell’articolo 111 della Costituzione, “…impone all’interprete – precisa la Corte – una nuova sensibilità e un diverso approccio ermeneutico, per cui ogni soluzione che si adotti nella risoluzione di questioni attinenti a norme sullo svolgimento del processo deve essere verificata non solo sul piano tradizionale della sua coerenza logico concettuale, ma anche, e soprattutto, per il suo impatto operativo nella realizzazione di detto obiettivo costituzionale.”. Dunque la legge n. 54 avrebbe operato un’innovazione anche dal punto di vista processuale facendo venir meno la regola del riparto delle competenze rispetto alla quale la Suprema Corte aveva in passato avuto anche modo di affermare che, trattandosi di competenze di natura funzionale, indicate dall’art. 38 disp. att. c.c., e pertanto inderogabili, non potevano trovare applicazione le norme sulla connessione (v. Cass. 20.4.1991 n. 4273, Cass. 8.3.2002 n. 3457 e Cass. 15.3.2002 n. 3898 citate nell’ordinanza in esame). In realtà più che un richiamo all’articolo 111 della Costruzione e al principio di eguaglianza, che quindi anche prima della legge n. 54 avrebbero potuto indurre la giurisprudenza a rivedere la rigida regola del riparto delle competenze, appare calzante il richiamo allo stesso art. 155 riformato che, in base alla semplice interpretazione letterale, rende interdipendenti e non più scindibili le decisioni relative all’affidamento, al mantenimento e all’assegnazione della casa. Intero contenuto del 155 c.c. che avrebbe “riplasmato”, come dice la Corte, l’art. 317 bis c.c. Mi sembra peraltro non possano esservi dubbi sul fatto che permanga la competenza del Tribunale Ordinario ai sensi dell’art. 148 c.c. nel caso siano proposte dai genitori non coniugati esclusivamente domande di natura economica che non implichino peraltro una modificazione dello stato di fatto con riferimento alle condizioni di vita del figlio ed alle relazioni tra lo stesso e i genitori.
- La disciplina della separazione dei coniugi (art. 706 e seg. c.p.c.) non è applicabile alla cessazione della convivenza di fatto, come già ricordato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 166 del 1998 (che ha dichiarato manifestamente infondata una questione di costituzionalità avente ad oggetto il combinato disposto degli artt. 151, 1°c. c.c. e 155 c.c. nella parte in cui non disciplina la crisi della convivenza di fatto con le stesse regole previste per la famiglia legittima, evidenziando che l’assenza di un procedimento specularmene corrispondente a quello di separazione dei coniugi involge questioni di politica legislativa ma non determina la violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 24 e 30 della Costituzione). Vi è da dire anche che le lacune della specialità di un rito non possono essere colmate con un richiamo ad altro rito speciale, bensì con il riferimento alle norme del processo ordinario di cognizione “in quanto compatibili”. (cfr. Cass. N. 15100 del 16.7.2005)
- Il Tribunale per i Minorenni è un tribunale specializzato, che opera con rito camerale, rito che appare peraltro compatibile con l’applicazione di talune norme processuali introdotte con la L. 54.
- In particolare potranno essere utilizzati dal Tribunale per i Minorenni i poteri istruttori del giudice della separazione, compreso quello di disporre accertamenti tramite la Polizia Tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione anche se intestati a soggetti diversi; sui poteri di ascolto del minore; con il consenso delle parti si potrà rinviare (o meglio sospendere) il procedimento per consentire un percorso di mediazione.
- E’ applicabile da parte del Tribunale per i Minorenni l’art. 709 ter c.p.c. in caso di gravi inadempienze o di atti che arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento. Il giudice minorile pertanto potrà non solo ammonire il genitore inadempiente o infliggere una sanzione a suo carico, ma anche disporre il risarcimento del danno in favore del genitore danneggiato dal comportamento dell’altro o disporre analogo risarcimento in favore dello stesso minore. Mentre ritengo che non si pongano problemi processuali, per il tribunale per i minorenni, con riferimento all’ammonimento e anche alla sanzione amministrativa – che, per sua natura, costituisce titolo esecutivo – diversamente problemi si porrebbero con riferimento alla possibilità di ottenere il risarcimento dei danni e alla possibilità di far valere in sede esecutiva tale titolo (a prescindere dal problema delle modalità di accertamento del danno che, se ritenuto esclusivamente quale ristoro per violazione di diritti fondamentali, come credo, potrebbe essere liquidato in via equitativa senza particolare attività istruttoria).
- Non sono applicabili le disposizioni dell’art. 708, 4° comma c.p.c. introdotte dall’art. 2 c. 1° della legge n. 54 sulla reclamabilità della ordinanza presidenziale, che presuppongono che una ordinanza presidenziale vi sia e che quindi il processo si sia svolto nelle forme di cui agli artt. 706 e seg. c.c. Sul punto è bene ricordare che il tribunale per i minorenni non ha la figura del giudice istruttore e che qualsiasi provvedimento, anche di natura istruttoria, deve necessariamente essere assunto collegialmente.
- La Suprema Corte fa infine un significativo richiamo all’art. 277, 2° comma c.c. , anche se solo per dire che il giudice minorile, nei procedimenti di dichiarazione di paternità e maternità naturale, può dare i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l’istruzione, e l’educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui. “E proprio in forza di tale disposizione – si legge nell’ordinanza – questa Corte da sempre individua nel tribunale per i minorenni… l’organo giurisdizionale investito del potere di emettere altresì i provvedimenti opportuni per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei minori stessi e per la tutela dei loro interessi patrimoniali quali misure consequenziali (“effetti della sentenza” secondo la rubrica dell’articolo 277 c.c.) alla pronuncia dichiarativa del rapporto di filiazione, perfino quando essi riguardino il tempo anteriore alla sentenza, come nell’ipotesi di rimborso pro quota delle spese di mantenimento in favore del genitore che le abbia sostenute per intero…E si tratta di soluzione interpretativamente da preferire, perché maggiormente orientata alla realizzazione di principi espressi dalla Costituzione. …La giurisprudenza costituzionale invita l’interprete a considerare “il matrimonio non…più elemento di discrimine nei rapporti tra genitori e figli – legittimi e naturali riconosciuti – identico essendo il contenuto dei doveri, oltre che dei diritti, degli uni nei confronti degli altri”:…la condizione giuridica dei genitori tra loro, in relazione al vincolo coniugale, non può determinare una condizione deteriore per i figli, poiché quell’insieme di regole, che costituiscono l’essenza del rapporto di filiazione e che si sostanziano negli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole, derivante dalla qualità di genitore, trova fondamento nell’articolo 30 della costituzione che richiama i genitori all’obbligo di responsabilità” (Corte Cost. sentenza n. 166 del 1998).
Dunque, come già detto, la Corte di Cassazione richiama più volte la necessità che sia rispettato il principio di eguaglianza e di parità di trattamento dei figli, a prescindere dalla natura del vincolo che ha legato i genitori in conflitto tra loro.
Tali principi richiamati dalla Corte esigono, allora, anche parità di trattamento con riferimento alla effettività della tutela, poiché, in caso contrario, sarebbe un richiamo solo formale e sterile, ove cioè i diritti fatti valere non avessero la effettiva possibilità di essere efficacemente azionati, con la previsione quindi dell’obbligo della difesa tecnica, per poter essere poi riconosciuti nell’ambito di un procedimento che segua un percorso prestabilito, ove le regole poste servano non solo a garantire il confronto tra diritti ed interessi contrapposti e la piena conoscenza di essi da parte di un giudice imparziale, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio – di fatto già garantito anche nel procedimento camerale – ma consentano anche di fornire al giudice elementi di valutazione che abbiano poi valore probatorio pieno: essenzialmente, quindi, possibilità di ammettere prove testimoniali, disporre consulenza tecnica di ufficio, disporre ordini di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c., come già accade per i procedimenti ai sensi degli articoli 250 e 269 cod. civ. che si svolgono avanti al tribunale per i minorenni. A queste condizioni sarà poi agevole riconoscere la natura di titolo esecutivo al provvedimento finale, quand’anche mantenga la forma del decreto, in mancanza di una espressa previsione legislativa che indichi la forma della sentenza.
Si tratta infatti di procedimenti aventi certamente natura contenziosa nonché identico contenuto rispetto ai procedimenti di separazione che si svolgono davanti al tribunale ordinario (a parte la necessità, in quella sede, di sciogliere il vincolo di coniugio). Certamente il rito camerale è compatibile con l’esercizio dei diritti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli in caso di separazione dei genitori, a condizione però che non si faccia riferimento puramente e semplicemente agli artt. 336 c.c. e 737 e seg. c.p.c. – pena la violazione del principio di eguaglianza e del diritto di difesa, che si riproporrebbe alla Corte Costituzionale in modo nuovo, ora che devono essere affrontate anche le conseguenti statuizioni di carattere economico – ma si adatti il rito camerale alla particolare natura delle controversie in questione e al tipo di domande che vengono proposte in giudizio, dal momento che il rito camerale, come ha evidenziato la stessa Corte di Cassazione, Sezioni Unite, non è altro che un “contenitore neutro, nel quale possono svolgersi non soltanto questioni inter volentes, ma vere e proprie controversie su diritti o status” (Cass SU n. 5629/1996) –
Certo la questione è delicata e non sembra che vi sia, allo stato, un orientamento in tal senso da parte dei giudici minorili né la necessità dell’obbligo della difesa tecnica sembra sia stato affermato dai primi commentatori alla ordinanza della Corte né, per la verità, in precedenza . Colpisce inoltre il silenzio della Suprema Corte sul punto, nonostante questa tematica sia stata più volte affrontata dalla stessa Cassazione che, oltre ad avere sempre più puntualizzato che con il rito della volontaria giurisdizione, o meglio, nei procedimenti camerali vengono trattate le più diverse materie, con la conseguenza che è la particolare duttilità e snellezza del rito ad adattarsi alla diversa natura delle controversie, è arrivata da ultimo a sostenere, con una importante sentenza (la n. 6926 del 10.10.2006) la necessità della difesa tecnica nei procedimenti per la nomina dell’amministratore di sostegno in ogni caso in cui il provvedimento da emettere incida in maniera diretta sui diritti inviolabili della persona.
Questo, dunque, il nodo fondamentale che questa ordinanza della Corte non scioglie espressamente ma che può, a mio parere, essere sciolto dai Tribunali per i Minorenni attraverso una interpretazione sistematica delle norme nazionali e sovra-nazionali, nel rispetto dei principi richiamati dalla Suprema Corte e delle indicazioni dalla stessa fornite nell’ordinanza in esame.
Ritengo quindi che oggi si possa affermare, senza che questa sia una interpretazione arbitraria o non consentita dalla natura degli interventi del giudice minorile, la necessità di introdurre l’obbligo della difesa tecnica per tali procedimenti, per un pieno e sostanziale rispetto del principio di parità di trattamento e di eguaglianza. Né appare argomentazione convincente, per sostenere la impossibilità di prevedere la difesa tecnica obbligatoria, il fatto che la previsione legislativa di cui all’art. 37 comma 3 della legge 149/2001 non sia ancora divenuta operativa, essendo di anno in anno rinviata l’entrata in vigore della legge . Infatti l’attuale quadro normativo non impedisce che sia adottata tale soluzione.
Il terzo comma dell’art. 82 c.p.c., che va considerata norma di carattere generale, prevede l’obbligo di stare in giudizio con il difensore salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti. L’art. 737 c.p.c., che si intitola forma della domanda e del procedimento (nei procedimenti in camera di consiglio, come titola il Capo VI) appare neutro, giacchè prevede che i provvedimenti che debbono essere pronunziati in camera di consiglio si chiedono con ricorso al giudice competente e hanno forma di decreto motivato. Vero è che l’art. 336 c.c. prevede espressamente che i provvedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su ricorso dell’altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato. Gli articoli precedenti sono quelli de titolo IX relativo alla potestà dei genitori, e quindi anche l’art. 317 bis. Peraltro, a prescindere dalla considerazione che dalla dizione di tale norma appare forzato farne derivare che avanti al tribunale per i minorenni non potrebbe mai essere prevista la difesa tecnica obbligatoria (la norma non dice che il ricorso non può essere presentato personalmente dalla parte) si osserva comunque che l’art. 317 bis è stato riformulato per effetto dell’art. 4 della legge n. 54/2006 che innesta nella norma applicata dal tribunale per i minorenni l’art. 155 c.c. che riguarda i provvedimenti relativi ai figli in cause di scioglimento del matrimonio e separazione dei coniugi (capo V del titolo VI relativo al matrimonio) che si svolgono con la difesa tecnica obbligatoria.
Non può trascurarsi poi che l’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte ha con sempre maggiore attenzione valutato diverse fattispecie trattate in procedimenti camerali per arrivare ad affermare l’obbligo della difesa tecnica di cui all’art. 82 c.p.c. ogniqualvolta la natura contenziosa del procedimento e gli interessi e diritti in gioco esigano, per la realizzazione del diritto inviolabile di difesa, non solo il rispetto del principio del contraddittorio ma anche la effettiva assistenza legale nel processo.
Del resto la difesa tecnica obbligatoria viene già da tempo richiesta nei procedimenti camerali contenziosi ai sensi dell’art. 250 e 269 c.c. che si svolgono avanti al Tribunale per i Minorenni di Milano .
Solo l’obbligo della difesa tecnica anche nei procedimenti di affidamento e mantenimento dei figli di genitori non coniugati potrà, da un lato, consentire l’applicazione delle norme del processo di cognizione in quanto compatibili con il procedimento camerale e, dall’altro, rendere effettiva la tutela e realizzare quella piena parità di trattamento tra i figli minori, portatori di identici diritti siano essi figli naturali o legittimi – distinzione, tra l’altro, che un disegno di legge varato dal Governo il 16 marzo u.s. mira ad eliminare, prevedendo un unico stato giuridico di filiazione – nel pieno rispetto dei principi richiamati dalla Suprema Corte.
Maria Grazia Domanico
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